Roberto Franceschi frequenta il secondo anno di Economia
politica all’università Bocconi e quel martedì 23 gennaio 1973 è prevista una
assemblea del movimento studentesco nel suo ateneo. E’ stato proprio Roberto il
giorno prima a compilare e consegnare la richiesta. Il rettore
Giordano Dell’amore autorizza l’assemblea a condizione che non sia consentito
l’ingresso a studenti di altri atenei né agli operai. Poco prima delle 21
Roberto si trova vicino all’ingresso del Pensionato Bocconi e vede i 100 poliziotti schierati in assetto
di guerra all’angolo tra via Sarfatti e via Bocconi. E’ stato il rettore ad
avvisare la polizia dell’assemblea senza che apparentemente ci fosse un
pericolo contingente, la tensione tra i ragazzi cresce sempre di più e
Sergio Cusani dopo una concitata telefonata al rettore, alle 22.15 circa decide
di avvisare tramite un cartello che la riunione è rinviata a data da
destinarsi. Alle 22.30 gli studenti iniziano ad allontanarsi e alle 22.45
quelli rimasti attaccano i poliziotti con urla e lancio di sassi. Le forze dell’ordine
reagiscono immediatamente rincorrendo i
ragazzi in fuga e si cominciano a sentire numerosi spari. Roberto Franceschi viene colpito
alla nuca e cade a terra, Roberto Piacentini viene ferito alla schiena e un
terzo proiettile colpisce la portiera di una 500 blu parcheggiata in via
Bocconi. I familiari di Roberto vengono a sapere di quanto accaduto all’una di
notte, dopo essere rientrati nella casa di Via Emilio De Marchi 8, grazie ad
una telefonata fatta da Francesco Fenghi un amico del figlio e si recano subito
al Policlinico. Il ragazzo entra rapidamente in coma profondo e viene trasferito in rianimazione dove rimane fino al giorno della morte
avvenuta il 30 gennaio 1973. Dopo la cerimonia funerale civile la famiglia si cere al cimitero di Dorga per la tumulazione. Il vicequestore Tommaso Paolella afferma che gli studenti
lanciarono cubetti di porfido e due bottiglie incendiarie, una delle quali
colpì il telone della campagnola del Tenente Addante. Il questore Allitto
Bonanno conferma che l’autista della campagnola Gianni Gallo sparò due
colpi dopo essere sceso dalla campagnola con il tetto in fiamme. L’avvocato dello Stato Marcello Della Valle
residente al quarto piano di un palazzo all’angolo tra via Sarfatti e via Bocconi,
alle 22.45 testimonia di aver visto una persona in borghese con un cappotto grigio a capo scoperto, sparare quattro o cinque colpi
in direzione degli studenti in fuga. Italo Di Silvio, bancario residente al
secondo piano dello stesso palazzo vede un uomo vicino al semaforo tra via
Sarfatti e via Bocconi sparare contro la
folla. L’ultimo testimone di questa drammatica notte è Roberto Piacentini, vede
un uomo in divisa grigioverde che spara due colpi e uno con un cappotto blu
compiere lo stesso gesto. L’inchiesta per l’omicidio e il ferimento di Roberto
Franceschi e Roberto Piacentini viene affidata prima ad Antonio Pivotti e poi a
Elio Vaccari che da subito si rende conto che le armi consegnate per la perizia
balistica sono state manomesse, forse proprio per questa ragione viene estromesso
dalle indagini avocate dal Procuratore Capo Giuseppe Micale. Finalmente ha
inizio il processo e alcuni documenti fotografici dimostrano che la campagnola
non è stata mai raggiunta dalla bottiglia incendiaria che risulta essere caduta
a terra a poca distanza. Gallo è evidente dalle immagini che ha partecipato
alle operazione di spegnimento utilizzando tra l’altro il proprio berretto. La
perizia balistica ha accertato che le pallottole che hanno colpito i due
ragazzi e la 500 provengono tutte dalla stessa arma: la pistola 7,65 in
dotazione a Gallo. Sempre in quella notte si è potuto accertare che abbiano certamente sparato anche il Vicequestore
Paolella, l’appuntato Cosentino, l’appuntato Vittorio Di Stefano e Agatino
Puglisi. Dopo gli spari nella pistola di Gallo sono state inserite nel caricatore
2 o 3 cartucce. Dopo un iter giudiziario lunghissimo il 22 aprile 1985 tutti
gli imputati sono stati assolti. Nella foto il monumento che ricorda i fatti avvenuti presso l'università Bocconi di Milano
Non conoscevo questa storia!!!! Ci sono tanti personaggi che meritano importanza per ciò che hanno fatto!
RispondiEliminaNicoletta
Devo fare innanzitutto i complimenti per il titolo del blog, mi piace un sacco e poi mi ci ritrovo in pieno, ho proprio un debito nei confronti del sonno. Ho letto questo articolo forse perché era il primo che mi si presentava davanti, sono un po' assonnata e pigra in questi giorni, poi l'ho letto d'un fiato. Ho frequentato l'UNiversità a Milano. Non la Bocconi. Molti amici invece sono andati lì e non ho mai conosciuto questa vicenda. Ci sono persone che sono morte a causa della stoltezza altrui, o perché si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato, e che finiscono nel dimenticatoio. Grazie a te per aver riportato alla luce questo fatto. Alla prossima che andrò a Milano, farò in giro in Bocconi.
RispondiEliminaNon conoscevo questa storia, grazie per averla condivisa con noi
RispondiEliminaNon sapevo questa storia, complimenti per l’articolo molto interessante
RispondiEliminaSono di Milano ma non avevo mai sentito questa storia. Grazie per averla riportata
RispondiEliminaNon conoscevo (il t9 😥)
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